Una delle immagini più rappresentative della
Grecia, oltre alle spiagge, casette-bianco
azzurre; sono i gatti. Guardando le cartoline
dove c’è sempre un gatto sulla sedia della
taverna tipica o su un muretto, si pensa che i
gatti siano qualcosa di sacro in Grecia. Durante
l’estate, quando le taverne e gli alberghi sono
aperti, parecchi animali ricevono cibo ed
attenzioni dai turisti. Tra le pittoresche case
bianche e azzurre che caratterizzano le isole
greche, tra vie e viuzze è facile incontrare
gatti di ogni razza, colore ed età. Accucciati
sulle sedie dei ristoranti in attesa di qualche
lisca di pesce e coccole gratuite o sdraiati a
crogiolarsi al sole su qualche scala di pietra,
diventano parte integrante di un paesaggio
indimenticabile.
Nella Grecia classica il gatto
era tenuto in grande
considerazione.
Rifacendosi ad una tradizione
che veniva dall’Egitto, terra di
origine del gatto domestico, e
che voleva i piccoli felini cari
alla dea Iside e perciò capaci
di curare le malattie e di
dominare il tempo atmosferico, i
greci usavano tenere sempre un
gatto sulle navi. Era il
beniamino dei marinai, i quali
avevano la convinzione che un
gatto sapesse tenere lontane le
tempeste. Per questa ragione, a
partire dall’ottavo secolo prima
di Cristo, i gatti presero a
navigare sulle navi greche che
solcavano il mare per andare a
fondare colonie in Italia
meridionale, in Francia, in
Spagna e nei Balcani. I mici si
trovavano bene a bordo. Erano
amati e rispettati oltre che per
i loro presunti poteri magici
anche per il fatto che
uccidevano i topi, pericolo
estremamente serio che
minacciava le provviste.
La presenza dei gatti
nell’antica Grecia è provata
dalle raffigurazioni sui vasi
del V secolo avanti Cristo. Gli
artisti di quel periodo
dipinsero gatti tenuti al
guinzaglio e sfoggiati tra la
folla come fossero animali rari,
molto ricercati. Ma è nei vasi
greci provenienti dall’Italia
del Sud che si trovano le prime
rappresentazioni di gatti
domestici, tenuti sulla spalla
dal loro padrone oppure
utilizzati nella caccia agli
uccelli. Le leggende raccontano
come fu Taras, figlio del dio
Poseidone e fondatore della
città di Taranto, a portare per
primo in Italia il gatto
proveniente dall’Egitto. E pare
anche che siano stati proprio i
Greci a dare il nome al gatto,
attorno al 500 prima di Cristo.
Lo chiamarono “ailouros”. La
parola è composta da “aiolos”,
che significa “che si muove”, e
“ouros” che invece significa
“coda”. Con questo nome i Greci
vollero indicare il gatto come
“l’animale che agita la coda”.
Già a quei tempi l’uomo si era
accorto di quante cosa il micio
sia in grado di comunicare
usando la sua lunga appendice,
una specie di antenna capace di
stramettere segnali
inequivocabili di gioia, rabbia,
noia, paura, irritazione,
rilassamento.
In Grecia i gatti erano anche
protagonisti delle favole.
Esopo, il leggendario autore
greco che pare sia vissuto nel
sesto secolo avanti Cristo,
scrisse molte favole sul micio
rappresentandolo come un animale
furbo, opportunista, a volte
falso, senza scrupoli, cinico,
sempre affamato e disposto a
giungere a qualsiasi di
compromesso e a commettere ogni
tipo di tradimento pur di
riempirsi lo stomaco. Forse
molte dicerie e proverbi,
presenti ancora oggi nel parlare
comune e che vogliono il gatto
ladro e crudele, sono derivate
proprio dalle favole di Esopo.
Nell’Atene del V secolo avanti
Cristo, i gatti erano
addomesticati, vivevano nella
case ed erano usati nella caccia
alle piccole prede. Ma insieme
ai mici erano allevati anche i
ghepardi, i grossi felini
africani considerati tra gli
animali più veloci, che i greci
chiamavano “leopardi da caccia”.
Gatti e ghepardi rappresentavano
due dei migliori e più utili
“amici dell’uomo.” Fu il poeta
Sofocle (496-406 a.C.) a
chiedersi, in una sua tragedia:
“E’ possibile che un gatto
cresca fino a diventare un
leopardo?”
E i gatti erano anche sacri ad
Artemide, dea della caccia e
signora degli animali, una delle
divinità più popolari di quel
tempo. Artemide, tra i suoi
tanti e straordinari poteri,
aveva anche la capacità di
entrare nel corpo di un gatto o
di assumerne la forma. Si narra
che quando gli dei erano in
guerra coi giganti, si
trasformarono in animali per
poter fuggire alla loro furia.
Zeus, il re degli dei, si mutò
in un ariete e Artemide in un
gatto. I mici erano anche cari
ad Atena che spesso veniva
chiamata “Atena il Gatto” perché
i suoi occhi erano luminosi e
potevano vedere al buio.
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